Un altro giorno come tanti altri

Ormai avevo fatto i soldi, tanti soldi da non sapere nemmeno da che parte iniziare a contarli e se mai lo avessi fatto, forse mi ci sarebbe voluto circa dieci giorni a finire il conto. Avevo perso la motivazione per il mio lavoro, sentivo che tutto era così ordinariamente ciclico, non provavo più  emozioni ad arrampicarmi in alto sulle chiome e compiere evoluzioni acrobatiche per giungere ai rami più lontani e mi detti al vagabondaggio.

Viaggiai sul mega van per sei anni, praticamente senza interruzione, ovviamente accudito dalle mie quattro paladine. Finalmente un mattino mi svegliai e vidi dalla finestra vicino al mio letto, sulle dolci note dell’arpa di Llewella, il LUOGO. Vidi ciò che volevo eppure, non ci avevo mai pensato, non lo avevo mai desiderato, era un luogo spoglio, desertico, una grande pianura rocciosa, circondata dalle montagne, senza alberi e senza nessuno. Decisi di saltare il massaggio e la colazione, uscii fuori con indosso solo i rayban e i miei baffi da cowboy. Mi guardai attorno… solo il fruscio del vento, che alzava polvere a folate. Il sole era già alto e si faceva sentire piacevolmente sulla pelle. Avete mai lasciato che la vostra pelle sia riarsa piacevolmente, dalla polvere e dai raggi del sole? Secondo me è una delle cose che fa sentire maggiormente vivi ma niente fa sentire più vivi di una corsa senza meta seminudi nella natura, dico seminudi per un semplice aspetto tecnico e non per una questione morale. Così le ragazze dal van mi videro partire con i soli shorts e le crocs. Uscirono subito e si fermarono una accanto all’altra tutte e quattro senza parlare a guardarmi mentre mi allontanavo e lentamente sparivo tra la polvere. Il sole era alto, due cespugli di ruzzolacampo, rotolarono davanti a loro e un dustdevil, turbinò, disperdendo una spirale di polvere nel cielo azzurro. Dalle casse del van giungeva Ballad of easy rider di Roger Mc Guin, c’era forse un momento migliore per sparire per lasciarsi tutto alle spalle e allontanarsi nel deserto senza nessuna certezza, senza sapere nemmeno cosa stavo facendo.

Sento solo il respiro e un passo dietro l’altro, il sentiero inizia ad inerpicarsi sul fianco della montagna tra le rocce ed i cactus del Mojave, correvo e vedevo i coyote, i fiori nascosti fra le rocce, gli avvoltoi e le aquile che compivano grandi cerchi nel cielo e il vento mi accompagnava, la mia pelle era asciutta e polverosa, ogni tanto qualche sasso appuntito si faceva sentire sotto le suole di gomma morbida, improvvisamente il sentiero si fece molto più ripido e presi a camminare ma allo stesso ritmo, perché il ritmo è importante è fondamentale e affinché ciò che stai facendo riesca bene devi seguire un ritmo e non interromperlo, non si deve interrompere un flusso è in certi momenti che ti vengono le più grandi intuizioni, le migliori idee, quelle che ti cambiano la vita che nei fumetti appare sopra la testa del personaggio la scritta eureka. Inutilmente potrete scervellarvi a seguire la ragione, la ragione serve per scegliere se al super mercato è meglio acquistare cipolle o zucchine ma non per tracciare il vostro percorso, non per decidere dove andranno i vostri piedi quello lo sceglie qualcosa che ha un intelligenza assai maggiore e che non c’è dato di nominare, se non sapete di cosa sto parlando non sono certo io che posso spiegarvelo e forse avete già commesso un sacco di cazzate senza accorgervene e forse è meglio che non le scopriate mai. Quello che conta è la polvere che si impasta sulla vostra pelle con il sudore e vi si stratifica addosso grazie all’inclemenza del vento e del sole. Il sole che manda quel fascio di raggi da centocinquanta milioni di kilometri per ustionarvi la pelle e quella sabbia finissima erosa dalle rocce di trecento milioni di anni fa che adesso ha deciso di accomodarsi fra le dita dei vostri piedi e di conciarvi in un modo tale che nemmeno vostra madre, avrebbe il cuore di abbracciarvi.
Quando si corre si è in un’altra dimensione, si accede ad una realtà parallela, l’essere umano non è fatto per stare fermo ha bisogno di vagare, non c’è molta differenza se su una via di una qualsiasi città del mondo, con le mani ficcate nei jeans passeggiando pigramente tra una libreria ed un caffè fino al pub nel pomeriggio o se state correndo su una cresta delle Alpi o appunto in un deserto dell’Nevada, quello che conta è smettere di contare, in tutti i sensi. Ho arrampicato per anni gli alberi e ho sempre sognato di correre, correre sempre, senza fermarmi mai. Correre è allontanarsi è fregarsene. Correre è Rock, correre è essere leggeri è ricordarsi di chi ami e di chi hai amato è fare incontri fugaci che ti rimangono dentro per tutta la vita, con un capriolo, che scatta e poi si ferma a guardarti o con un lupo, di cui senti i passi morbidi sul fogliame e girandoti di improvviso, incontri per infiniti istanti il suoi occhi, gialli, occhi che ti arrivano in fondo all’anima o con una bellissima ragazza con le tette al vento, con la quale hai scambiato un sorriso, incrociandola sulla battigia della spiaggia che vale come una notte è attraversare un torrente e sentire il gelo entrarti nelle caviglie e farti lacrimare gli occhi è salutare una taccola che si posa sul tuo braccio e ti accompagna per un miglio.
Questa corsa attraverso il deserto, vale come un viaggio nello spazio al centro di una galassia, il megavan è lontano, le ragazze sono lontane, quando tornerò non sarò mai più lo stesso voglio che sia un percorso iniziatico, un solco fra ciò che sono adesso e il mio passato. Voglio dimenticare il sangue versato sulla strada verso New Orleans, voglio dimenticare i contratti, quando tornerò non sarò più io. Cosa può fare un uomo quando è arrivato al confine dell’ultima nazione conquistata, se non guardare il mare, cosa può fare un uomo che ha superato le sue vicissitudini ma che non ha nessun tipo di interesse per la Florida? Dopo un lungo e remunerativo periodo di lavoro provai ad andare in crociera, per i primi due giorni feci la spola fra la mia cabina dove dormivo e la sala massaggi, tanto ero stanco, poi mi affacciai sulla coperta. Occhiali da sole, camicia a mezza manica, che pare sia estremamente sgradita alle signore di buon gusto, un paio di shorst leggeri e queste due crocs in gomma morbida che ho adesso ai piedi. Mi aggiravo lentamente studiando la popolazione locale che viaggiava in preda alla sindrome della vacanza ossessiva. Poi ad un certo punto realizzai che stavo viaggiando, grazie al motore grande come un palazzo ci faceva muovere attraverso il mare ed è lì che capii che non era il mio posto.
Adesso sono al mio posto, mentre avanzo sulle mie due gambe, sudate e polverose, inerpicandomi felicemente su questo sentiero.
Il sole scomparve sotto la linea dell’orizzonte e improvvisamente la temperatura precipitò bruscamente, continuai ad andare avanti e tralascerò volontariamente di descrivervi i colori del cielo al tramonto perché, lo fanno sempre tutti e non sarò io ad aumentare l’inflazione di questo scenario. La luce della luna mi aiutava a vedere i bordi del sentiero ma non bastava per vedere i sassi più sporgenti sui quali, di sovente inciampavo. Vi chiederete se non avevo fame, certo che avevo fame ed è qui che scoprirete che anche questo racconto non è un racconto serio. La mia meta era un pinnacolo che si ergeva tra gli altri picchi, stavo compiendo un percorso ascetico e quindi mi trovavo obbligatoriamente coinvolto nell’azione di arrampicarmi, e scelsi la parte più facile e più accessibile e non vedo perché avrei dovuto fare diversamente, il mio motto è sempre stato; trova sempre la soluzione più facile e più remunerativa, anche se in questo caso di remunerativo non c’era proprio niente e un sottile dubbio di sentirmi un pirla si stava insinuando dentro di me. Giunsi in cima e lì seduto c’era un omino verde con due enormi orecchie che mi salutò con una frase fuori da ogni regola di analisi logica. Stava mangiando un twix e me ne offrì un altro pacchetto, allungai la mano senza proferire parola. Ti stavo aspettando giovane aspirante jedi, già iniziato il nostro addestramento è. Non capisco, dissi. Nulla da capire hai… si si . Ok ma potrei avere un’altra merendina? Prima addestrarti tu devi dopo merendina tu avrai.
Costretto dal ricatto passai la notte nella posizione di loto a tentare di sollevare le pietre circostanti con la forza del pensiero. Mmm in te il lato oscuro molto forte è, tanto lavoro dobbiamo fare. Troppa passione nel tuo spirito. Senti scusa ma io devo tornare via ho delle persone che mi aspettano, improvvisamente mi resi conto che le ragazze potevano essere in ansia per me.
Già tutto loro sanno, chi pensi ti abbia portato qui?
Già Debby guida il van!
Io con loro ho già parlato, si. Hai comunicato con loro telepaticamente. No io ho vecchio motorola, si, loro hanno chiamato me perché tu bisogno hai, si, bisogno di grande maestro jedi, si.
Mi misi il cuore in pace e continuai l’addestramento.
Dopo lunghi giorni di prove cominciai a riuscire a sollevare le pietre ed infine io mi alzai da terra. Adesso sei pronto disse il maestro dalle grandi orecchie, ho un dono per te, ed estrasse dalla sua bisaccina un manico ricurvo e pigiando un pulsante apparve una lama laser… IL SEGACCIO LASER. Mi inginocchiai chiusi gli occhi e allungai entrambe le mani, il maestro ve lo depose e sentii la forza scorre dentro di me. Ora sei pronto vai, disse. Mi voltai e cominciai a correre in discesa ma ogni falcata diventava sempre più lunga e gli atterraggi sempre più leggeri ad ogni spinta avanzavo fluttuando, dieci,venti, trenta metri avanti. Giunsi al van, le ragazze mi videro e mi corsero incontro mi fermai alzando al cielo il segaccio laser. Ora sono pronto ora ho capito, andiamo ho un lavoro da portare avanti, gli alberi mi aspettano. Parola di Jeff Kotenna.

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